Come per ogni libro che leggo, anche per “Gli umani” di Matt Haig mi sono appuntata frasi, talvolta interi passaggi che mi colpiscono. È da lì che poi parto per scrivere gli articoli per il Blog. Rileggo quei passaggi e rifletto su quello che sento che il libro mi ha lasciato.
Con questo libro è successo qualcosa di insolito: letti di fila, misteriosamente raccontano il cuore del romanzo, come una storia nella storia…
*Avviso: qui troverai informazioni che potrebbero essere scritte sulla quarta di copertina e nulla più. Niente di troppo spoileroso!
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“Gli umani” di Matt Haig
Di solito le frasi che mi appunto sono frasi sparse che, estrapolate dal contesto, mantengono un forte significato ma che sono tra loro scollegate, raccolte qua e là tra le centinaia di pagine che compongono il romanzo.
Rileggendo i passaggi che ho annotato durante la lettura de “Gli umani” mi sono stupita nell’accorgermi che, pur essendo presi da pagine anche molto distanti tra loro, si cuciono assieme come un’unica storia, senza nemmeno doverne modificare più di tanto l’ordine per trovare un filo logico.
Letti di fila, misteriosamente raccontano il cuore del romanzo; non tanto la trama, quanto l’essenza della storia, quella leggerezza non priva di divertente ironia con cui Matt Haig sa raccontare i misteri più profondi e commoventi della natura umana:
la capacità di provare dolcezza mentre si guarda negli occhi la nostra fragilità; di provare un’eccitante paura per una bellezza che non capiamo e non possiamo davvero capire fino in fondo e per questo attira e spaventa insieme; di stare nell’incertezza, che è la condizione umana, cercando quanto più possibile di averne consapevolezza; di non essere mai pronti a perdere ciò che di più prezioso incontriamo nella vita, pur sapendo di nascere con la finitudine scritta in noi, e sentire al contempo che ciò che più conta va oltre e per questo non può mai andare perduto.
La premessa della storia
“Gli umani” è la storia fantastica di un alieno che assume le sembianze di un professore, un matematico di Cambridge che ha fatto una scoperta di tale portata da costituire un rischio per la sopravvivenza di una razza aliena distante anni luce e che per questo è stato eliminato. L’alieno che prende il suo posto ha una missione: cancellare ogni traccia della scoperta scientifica, anche a costo di eliminare ogni persona che, venutane a conoscenza, rappresenti una minaccia.
Ma stare con gli umani è contagioso. Attraverso la relazione con il figlio e la moglie del professore, Isobel, il nostro alieno scoprirà che l’amore, la paura e l’ebbrezza di un calice di vino non possono prescindere dalla solitudine, dalla fiducia e dall’emicrania che ne consegue…
È l’avere l’assoluto tra le mani, sapendo di poterlo perdere ad un battito di ciglia, che genera l’amore di cui siamo capaci.
L’alieno sono io
Matt Haig racconta che il romanzo è nato dalla sua diretta esperienza. L’alieno era lui.
“L’idea di questo libro mi è venuta per la prima volta nel 2000, quando ho cominciato a soffrire di attacchi di panico. A quell’epoca condividevo con l’innominato narratore di questa storia la sensazione che la vita umana fosse alquanto strana. Vivevo in uno stato di paura intensa ma irrazionale, e non riuscivo nemmeno a entrare da solo in un negozio, o andare da qualsiasi altra parte, senza che mi prendesse un attacco. L’unica cosa che mi aiutava a ritrovare una parvenza di calma era leggere.
Quella malattia è stata a suo modo un crollo, anche se, come ha detto Ronald David Laing (e dopo di lui Jerry Maguire nell’omonimo film) un crollo è molto spesso anche un’apertura. E oggi, stranamente, non guardo con rammarico a quell’inferno privato. Poco per volta sono guarito.
Leggere mi ha aiutato. Anche scrivere è stato utile. È per questo che sono diventato uno scrittore. Ho scoperto che le parole e le storie erano, in un certo senso, mappe per ritrovare la strada che portava a me stesso. In tutta sincerità, credo che la narrativa abbia il potere di salvare la vita, di guarire la mente. Ma mi ci sono voluti molti libri prima di arrivare a questo, cioè alla storia che avrei voluto raccontare prima di tutte le altre. La storia che cercava di guardare in faccia la strana e spesso spaventosa bellezza dell’essere umani.”
Sentirsi alien-ati dalla vita può essere la base per costruire una relazione d’amore con la propria esistenza.
Che sia un omaggio ad Asimov?
Il professore di cui l’alieno prende il posto si chiama Andrew Martin. Sì, esatto. Sarà che la storia richiama fortemente uno dei temi cardine che Asimov affronta ne “L’uomo bicentenario” – una delle letture con musica dal vivo che propongo – ma il pensiero va al Robot di questo racconto di fantascienza che, attraverso la sua natura “aliena”, porta alla luce ciò che ci rende umani. Il Robot Andrew Martin. Che Haig abbia voluto omaggiare Asimov? Certo è che questa è una delle prossime storie che vale la pena raccontare…
Se fai parte di quei lettori che i libri più cari li vogliono accanto, come compagni del proprio misterioso e indefinito viaggio, vale la pena acquistare questo libro adesso per poterlo leggere e rileggere!